A volte è più facile descrivere persone che frequenti poco e situazioni che sono limitate nello spazio e nel tempo.
Conoscere e frequentare la stessa persona da molti anni ne mette in luce le molteplici sfaccettature. E’ molto più facile scattare una fotografia che dipingere un ritratto.
Patrick Cassidy è una figura poliedrica nel panorama dell’Aikido. Una solidissima formazione, frutto di anni di studio continuativo in Giappone, a Iwama, e di una ricerca continua che lo ha posto tra gli insegnanti di spicco nel mondo dell’Aikido ed essere un riferimento a livello internazionale.
Da quando abbiamo iniziato a praticare, Patrick Cassidy è il riferimento tecnico del Dojo dove ci alleniamo: da qui è nata la consuetudine dell’annuale Evolutionary Aikido Seminar che si tiene a Torino ed è una delle occasioni nell’anno in cui entriamo in contatto con il Sensei. Un’occasione che coincide con il momento più intenso nell’anno per tutto il nostro gruppo e durante il quale si svolgono sessioni di esame per i gradi Aikikai.
Nel mondo derivato dall’Iwama Ryu -lo stile didattico codificato da Morihiro Saito e che pure ha impresso un marchio indelebile in Cassidy Sensei- noi abbiamo trovato mediamente due tipologie di insegnanti. Da un lato, i custodi della tradizione, che dispensano tecniche in modo enciclopedico, col limite dato dal fatto che ogni enciclopedia ha pur sempre un’ultima pagina. Dall’altro, in quantità minore ma non nulla, persone che dopo una vita passata a leggere e insegnare a leggere l’enciclopedia, si sono stufate, hanno iniziato a volte ad affacciarsi a stili diversi e hanno iniziato a percorrere sentieri più o meno chiari nel dominio non materiale. Un mix spesso poco comprensibile di tradizioni marziali e spirituali di culture diverse.
Patrick Cassidy, nella sua versatilità, è riuscito a definire un’identità molto chiara in una terza dimensione.
Il seminar che si è chiuso a Torino, domenica scorsa, ne è stata una dimostrazione.
La proposta didattica, nella sua varietà, si è sviluppata su uno studio su tre livelli. Dall’impostazione formale/tecnica si progrediva aumentando l’attenzione sulla sensibilità per giungere all’esplorazione della fluidità.
Nell’impostazione tecnica, avendo avuto la possibilità di essere chiamati come uke per mostrare gli esercizi, si nota in Patrick Cassidy il lascito della tradizione dell’Iwama Ryu. Gli angoli sono chiari, così come le linee, le prese sono potenti, i blocchi inesorabili, gli squilibri totali. Il tutto potenziato da una flessibilità e da una capacità percettiva molto raffinata che sono frutto delle ricerche personali in decenni.
Usiamo il termine “potenziato” non a caso, perché più volte in questi giorni siamo stati invitati a comprendere e fare esperienza fisica del maggiore potere che il sentire e il fluire dà alla tecnica.
Un mondo -anche marziale- spesso smarrito tra ricerca della performance e sofismi involuti, trova in persone come Patrick Cassidy un interessante segno di una gentile discontinuità.
Per esperienza diretta, anche nello scorso fine settimana, la forma è incredibilmente chiara, efficace e senza possibilità di uscita. Tuttavia è una potenza delicata, morbida, mai aggressiva né dolorosa. Il frutto di ciò che un insegnante di altissimo livello dovrebbe essere: la testimonianza coerente tra ciò che si insegna e ciò che si è.
Ecco, la proposta di Patrick Cassidy è l’individuazione, nella pratica, di ciò che si è, grazie al lavoro con il proprio compagno.
E’ una tentazione molto suadente prendere in prestito le parole di Morihei Ueshiba e, col pretesto di ripetere con lui “io sono l’universo”, iniziare a distaccarsi progressivamente dalla realtà, che è fatta di accettare il proprio e altrui limite, di un lavoro fisico costante e impegnativo. Un percorso che è fatto di sbagli e piccole conquiste.
Riconoscere che il nostro corpo è fatto degli stessi elementi di cui è composta la nostra Terra; percepire che esso sia composto per oltre due terzi da acqua; focalizzare l’attenzione su come l’aria gli dia vita sentire che si comporta da come un generatore di calore che esprime le medesime qualità di un fuoco; infine riflettere sugli infiniti spazi che esistono a livello atomico e subatomico all’interno della materia di cui siamo fatti…
Questo è stato il contenuto dei “semplici” esercizi di respirazione che facevano parte del riscaldamento all’inizio di ogni sessione. Un modo molto semplice e materiale di rimandare lo stesso concetto di Ueshiba ma in modo tangibile e soprattutto utile per la pratica personale di tutti.
In alcuni dei tanti seminar vissuti in Italia e all’estero, abbiamo avuto la sensazione che qualche insegnante in qualche modo, oltre alla prospettiva tecnica, proponga in modo impositivo la propria visione del mondo, anche dal punto di vista spirituale.
Esattamente come la sua tecnica, Patrick Cassidy non è né direttamente né indirettamente coercitivo ma fedele al suo mandato, che è quello di spiegare e far toccare il perché che si cela nei principi che animano le tecniche. Da lì in poi, la destinazione del percorso è responsabilità di ciascuno dei praticanti, che ricevono in seminari di questo tipo una scatola degli attrezzi ben fornita per dare un indirizzo chiaro e al contempo libero al proprio lavoro durante l’anno.
Foto per gentile concessione di Silvia Volpato